Ecco il Regno d’Ungheria
Come Orbán controllava gli avversari politici tramite il sistema di contact tracing voluto dall’Europa
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di Paolo Bianchin
A tre settimane dal voto, i sondaggi dicono che Viktor Orbán ha perso ben 15 punti percentuali in pochi giorni. Il governo ungherese è stato travolto da uno scandalo senza precedenti nel Paese: ormai è certo che il governo abbia sistematicamente commesso violazioni della privacy sui suoi cittadini e ora la magistratura sta indagando. Queste elezioni del 2022 sembrava dovessero portare ad un nuovo governo Orbán, fino ad un mese fa il suo quinto mandato era quasi una certezza tanto che le campagne elettorali dell’opposizione puntavano tutte alla “conquista” del secondo posto. Ora però, dopo anni di governo illiberale, una corposa percentuale dei suoi sostenitori ritiene sia andato troppo oltre e la vittoria non è più così scontata.
Il governo ungherese ha utilizzato “Safe Track”, il nuovo sistema di contact tracing voluto dall’Unione europea per seguire gli spostamenti di alcuni cittadini, compresi i politici dell’opposizione. Lo scorso anno il parlamento europeo decise di dotare tutti gli stati dell’Unione di un sistema d’emergenza prendendo a modello quello sudcoreano per fronteggiare eventuali future pandemie, con l’obbligo per ogni stato di attivare il sistema solo ed esclusivamente in caso di emergenza sanitaria. Per il resto del tempo, il sistema avrebbe dovuto essere “dormiente” ma in Ungheria a quanto pare è sempre stato attivo fin dai primi giorni in cui è stato testato con alcune prove tecniche.
Grazie a questo nuovo protocollo europeo per contenere eventuali epidemie, ogni governo può utilizzare i dati raccolti dalle reti cellulari tramite GPS, dalle transazioni bancarie e dalle telecamere di sorveglianza per tracciare i suoi cittadini. Le informazioni sono poi mostrate in forma anonima su un sito web dedicato e inviate anche tramite SMS a chi potrebbe avere incrociato un infetto, in modo da ridurre e in parte bloccare la catena dei contagi.
Secondo la magistratura tra gli osservati principali c’erano dirigenti di alcuni sindacati, giornalisti, presidenti di associazioni studentesche, degli attivisti - tra cui spicca il nome del filosofo ungherese Gáspár M. Tamás da sempre in contrasto con Orbán - e i leader dell’opposizione a partire dal principale esponente del Partito Socialista Ungherese (MSZP) Gergely Karácsony che dal 2019 è anche il sindaco della capitale del Paese, Budapest.
Questo scandalo è solo la normale evoluzione di una democrazia sempre più illiberale come quella ungherese. Negli anni Orbán ha approvato diverse norme che limitano la libertà di stampa, ha avuto posizioni molto discriminatorie verso i musulmani, i rom e gli ebrei e ha introdotto leggi che criminalizzano l’immigrazione clandestina. Inoltre, ha garantito abbondanti contratti statali alla sua cerchia ristretta - soprattutto tramite i sussidi europei per l’agricoltura - e ha accentrato nelle mani del governo, e quindi nelle sue, il potere giudiziario. Sicuramente il vero cambiamento è arrivato con quest’ultimo mandato, il primo con i due terzi del parlamento.
Fin da inizio mandato, con legge introdotta nel 2018 per cui anche i ritrovi di due persone possono essere considerati manifestazioni politiche, fino alla creazione di un sistema di tribunali parallelo e controllato dal governo - in pieno contrasto con la visione montesquieuiana basata sulla separazione tra i poteri che si occuperà anche di questioni politicamente delicate come legge elettorale, corruzione e diritto di manifestare – c’è stata una rapida discesa verso l’annientamento dello stato di diritto. Molte leggi inoltre sono state approvate durante l’emergenza Covid-19, quando assunse “pieni poteri” e sospese il parlamento a tempo indeterminato.
In tutto questo l’economia è debole, tenuta in piedi artificialmente dai fondi europei e da poche società straniere che hanno spostato qualche impianto di produzione in territorio ungherese e Orbán non sembra avere un piano di qualunque tipo per risollevare la situazione. L’ultima grande legge sul lavoro approvata in Ungheria è del 2018 ad inizio mandato, quella che ha liberalizzato gli straordinari. Questa legge che consente ai datori di lavoro di chiedere 400 ore di straordinari all’anno, con pagamento dilazionato da uno a tre anni è stata ribattezzata “legge sulla schiavitù” e aveva provocato le prime grandi manifestazioni di piazza contro Orbán dopo anni, guidate anche dal filosofo Gáspár M. Tamás, oggi uno degli “osservati”.
La perdita di popolarità procurata da questo scandalo è stata notevole ma il partito di Viktor Orbán, il Fidesz, resta comunque il primo partito d’Ungheria. Le elezioni di aprile saranno fondamentali per il futuro del Paese: il quinto mandato di Orbán significherebbe il definitivo colpo di grazia alla democrazia ungherese. Vedremo che misure adotterà l’Unione europea nei confronti dell’Ungheria ma anche riguardo al protocollo europeo per le epidemie “Safe Track”, visto che dopo un solo anno dall’approvazione ne è stato fatto un uso improprio e pericoloso.