Ristoranti 2.0
di Alessia Amistà
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Marzo 2022, sono le otto di sera e a Milano il sole sta tramontando.
Ruben pedala in sella alla sua bicicletta, abbassa lo sguardo sull’iPhone posizionato sul manubrio e segue la strada che il navigatore gli indica. La destinazione scelta è a poche centinaia di metri da lui. Qualche minuto dopo, la voce robotica del cellulare gli dice che il civico 12 è lì, alla sua destra. Scende dalla bici e si avvicina al citofono. Con l’indice scorre uno ad uno i cognomi che si susseguono, illuminati da una debole luce biancastra. L’ha trovato, “Craveri”. Prima di premere il campanello per citofonare alla ragazza a cui deve consegnare la cena, si asciuga la mano sudata strofinandola sui jeans. Intanto, qualche metro più in là, un drone sta atterrando sul tetto di un palazzo. Alle estremità, due grossi ganci tengono stretto un box rosso, con una grossa pizza disegnata. Un uomo lo afferra e scompare per le scale.
“Cazzo di drone” pensa, “che fai, mi rubi il lavoro?”
Ce lo ricordiamo da dove è cominciato tutto. Era il 2020, la pandemia globale da Covid-19 costringeva i ristoratori a chiudere battenti, rimandare di settimana in settimana la riapertura al pubblico. Come si doveva agire per far fronte alla crisi? Molti hanno cominciato dai tagli al personale, soprattutto quello più giovane. Poi si è passati ad incrementare il servizio di delivery (all’inizio non era permesso neppure il take away). Per questo, il settore della “consegna a domicilio” è esploso, più di quanto non stesse già accadendo prima della pandemia: si è passati da un 5-7 per cento all’anno del 2020 al 20-25 per cento nel 2021, fino ad arrivare, nel 2022, al 30%. “Era prevedibile uno sviluppo così importante in questo settore, molti ristoranti hanno dovuto offrire questo servizio anche se prima, magari, non lo prevedevano. È stato necessario per evitare la chiusura”, commenta Luigi De Santis, consulente per la ristorazione.
Complice del boom dell’asporto, l’aumento dello smart working. Lavorando da casa, spesso a ritmi ancora più ferrati, una maggiore fetta di popolazione si è interessata alla consegna del pranzo a domicilio. In sintesi, non si poteva non investire nel delivery. De Santis aggiunge che in parallelo si è sviluppato un fenomeno chiamato “dark kitchen”. Di cosa si tratta? In pratica, il ristorante smette di esistere come luogo
fisico, in cui sedersi a mangiare, e si effettua solo l’asporto. Mantenendo solo lo staff essenziale (il personale manageriale e i cuochi) molti ristoratori hanno optato per un tipo di cucina che ad oggi permette di fatturare di più e con meno spese. Tutto a favore di un servizio più veloce e che richiede un budget più basso. Oggi, a Milano, un ristorante su cinque si è già reinventato in questo modo o pensa di poterlo fare in
futuro. “Per ora preferirei evitare di passare al modello di dark kitchen, ma se fosse necessario non esiterei a farlo per salvare il mio ristorante. La cosa che mi dispiacerebbe di più di tutte sarebbe perdere il contatto diretto con i clienti, le chiacchiere quotidiane da dietro alla cassa o al bancone del bar, il conoscere tutti i
giorni persone nuove. Alla fine la cucina è soprattutto questo, un mezzo per socializzare” racconta Elena Nave, proprietaria del “Quadrifoglio”, ristorante milanese.
Il delivery e la dark kitchen si sono diffusi in tutta la penisola: nelle piccole cittadine, ad esempio, ha permesso ai locali di rimettersi al passo con i tempi e trovare un modo per sopravvivere alla crisi (anche se molti ristoranti hanno comunque dovuto chiudere). Nelle grandi città come Milano o Roma, invece, questi due strumenti non hanno sostituito la “normale” ristorazione, ma ne hanno incrementato notevolmente gli introiti. I ristoranti che invece avevano sempre avuto una buona offerta in termini di qualità e accessibilità, hanno ripreso a pieno ritmo. Complice la voglia di uscire di casa appena finita la quarantena, che spesso e volentieri si tramuta in una cena fuori con gli amici.
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Nel corso degli ultimi due anni sono state introdotte anche nuove misure tecnologiche, come l’uso di app per pagare e menù digitali. Secondo l’ultima analisi ISTAT risalente al mese passato, ormai l’85 per cento dei consumatori intervistati preferisce il digitale ai contanti. Un’ottima soluzione dal punto di vista sanitario, dal momento che questo tipo di pagamento è più sicuro e limita il contatto. Lo stesso vale per l’utilizzo di menù. Per questo motivo, tutti i ristoranti forniscono ai clienti un servizio di questo tipo, per evitare di far passare di mano in mano i menù di carta.
Dall’altra parte la pandemia, oltre a favorire la nascita di nuove app, ne ha rafforzate alcune già esistenti. È il caso di The Fork, uno dei più famosi siti di prenotazioni online. Le persone hanno preso l’abitudine di prenotare online prima di recarsi in uno specifico posto. Partendo dal 2018, la cui crescita si attestava tra il +60 e il +80 per cento, The Fork è arrivata nel 2022 a raggiungere il +90 per cento. Nell’ambito dei nuovi servizi offerti online sono anche nati siti di recensione che danno la possibilità al cliente di valutare come il locale abbia affrontato la situazione da Coronavirus. Gli utenti possono lasciare commenti e dare dei giudizi, espressi in “stelline di gradimento”. “Abbiamo pensato di aprire il nostro sito per permettere alle persone di poter uscire serenamente di casa e godersi al meglio il pasto fuori. In questo modo anche chi è più a rischio può sentirsi al sicuro, sapendo di andare in un posto che rispetta tutte le norme di sicurezza. Questo gli permetterà di evitare esperienze spiacevoli che lo mettano in pericolo” spiega Beatrice Ragaglia, creatrice della piattaforma online MangiareSicuri.
Una delle più grandi innovazioni tecnologiche, però, è stata sicuramente quella dell’utilizzo dei droni come mezzo per il delivery. Già nel 2018 era stata espressa la volontà da parte di Ubereats di introdurre nel mercato il servizio d’asporto attraverso i droni. Ora, a distanza di quattro anni, nel cielo di Milano tanti aerei in miniatura trasportano cibi freschi e prodotti di prima necessità. Il servizio è attualmente disponibile solo nel capoluogo lombardo, ma nei prossimi mesi sarà esteso anche ad altre città fino ad arrivare a coprire comuni con meno residenti. “Attualmente qualche centinaio di ristoranti e dark kitchen milanesi hanno deciso di sfruttare questo nuovo servizio. Ovviamente, tutto a scapito dei riders in bici o scooter. Si stima che nei prossimi anni assisteremo ad una crescita esponenziale dell’utilizzo dei droni” spiega Antonio Gribaudo, ingegnere per Uber Italia che sta seguendo il progetto Uber Eats Milano.
Nonostante questo servizio sia disponibile da poco, sono già comparse petizioni per interromperlo. La scorsa settimana un centinaio di persone hanno manifestato sui navigli, su Instagram l’hashtag #skyfreefromdrones è sempre più utilizzato e su TiKTok nascono video, ironici o meno, sulla questione. “Crediamo che i droni siano l’ennesima invenzione dell’uomo per andare contro natura, quando alziamo la testa e guadiamo il cielo questo dovrebbe essere libero e pulito, non dovrebbero esserci pizze volanti trasportate da mini aerei” commenta Silvia Fea, organizzatrice della manifestazione sui navigli.
Ristoranti e bar non sono i soli ad usufruire di questo servizio, anche la piattaforma ChefOnline ha deciso di avvalersi dell’uso dei droni. Si tratta di una piattaforma nata nel 2021 dalle menti di alcuni giovani cuochi e che ha raggiunto alti livelli in poco più di un anno. Come funziona? Ogni chef può registrarsi sulla piattaforma creando un proprio profilo e proporre ogni giorno una tipologia di menù diverso. Dopo aver
dichiarato il numero di pasti che è in grado di preparare (tutti cucinati a casa sua), con un click il cliente può scegliere quali piatti farsi recapitare. I prezzi vengono decisi da ciascun cuoco e al costo del piatto vengono aggiunti due euro per il servizio offerto dalla piattaforma e per la consegna a casa. “Quando molti ristoranti hanno dovuto chiudere, altrettanti cuochi si sono ritrovati senza lavoro. Noi abbiamo pensato di creare un servizio che accontentasse chi avesse bisogno di un nuovo lavoro, e chi fosse in cerca di un servizio di delivery diverso. Insomma, anche gli chef sono in smartworking!” dichiara Costanza Vicenza, una delle fondatrici di ChefOnline.
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Sono le undici di sera, a Milano c’è la luna piena. Ruben ha appena finito l’ultima consegna della giornata, è stanco e come alla fine di ogni turno si ripete di voler comprare uno scooter per rimpiazzare la Bicicletta. Forse non lo farà mai. Pedala verso il suo appartamento, che condivide con altri quattro studenti, pensando all’esame universitario che dovrà dare tra una settimana e per cui non è preparato.
A casa, lo stomaco gli si contrae, fa degli strani rumori imbarazzanti. Entra nella sua stanza, si toglie la felpa di dosso e si lancia sul letto. Poi prende il portatile e digita “ChefOnline”.
“Focaccia ripiena con stracchino e prosciutto, ancora una porzione disponibile” legge sul profilo di Federica, “perfetto”, pensa, e ordina. Sul sito appare un avviso: “Preferisci ricevere il tuo ordine con un rider oppure ti va di provare il nuovo servizio offerto dai droni?”.
Ruben sceglie la prima, due ore fa quel ragazzo poteva essere lui.