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RACCOLTA DIFFERENZIATA E DISCARICHE

 

 

 

 

 

 

 

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In Italia si parla di raccolta differenziata da almeno 40 anni, eppure, secondo gli ultimi dati Istat, la percentuale di raccolta differenziata rispetto al totale dei rifiuti urbani raggiunge appena il 55,5%. Dato al di sotto delle aspettative, visto che la normativa impone il raggiungimento del 65%. 

Pur mostrando il più alto livello di rifiuti urbani prodotti, il Nord raggiunge la percentuale maggiore di raccolta differenziata, pari al 68,3%. La percentuale si abbassa man mano che scendiamo verso il Sud. Così, se nelle aree del centro la raccolta si attesta al 51%, al sud si arriva al 47% e nelle isole a un misero 31%, anche se questo scarso risultato va imputato alla Sicilia (dove si differenzia il 21% dei rifiuti), mentre la Sardegna raggiunge il 63%. 

Il problema della gestione dei rifiuti non riguarda tanto la quantità di raccolta differenziata  quanto il fatto che gli impianti di trattamento sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio. Ciò ha portato il nostro Paese a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica. 

Se la Lombardia ha favorito politiche per il recupero dei rifiuti con 3000 impianti di trattamento che hanno portato all’invio in discarica di solo l’0,3% dei rifiuti, la maggior parte delle regioni presenta carenze negli impianti di riciclaggio. 

Emblematica la situazione della Puglia, dove, sebbene sia tra le regioni del Sud più virtuose per la raccolta differenziata, mancano gli impianti per completare il ciclo, con la conseguenza che, come successo l’estate scorsa nel brindisino, i rifiuti differenziati finiscono negli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB), dove vengono trattati come indifferenziati. O, peggio ancora, buttati in discarica. 

Nel Lazio, la chiusura della discarica di Malagrotta nel 2013, molte altre discariche, spesso abusive. 

Anche riguardo alle discariche, tuttavia, ci sono modelli considerati vincenti. La discarica di Barricalla (TO), ad esempio, in più di trent’anni non ha mai subito un fermo né per motivi ambientali né per incidenti, nonostante sia una delle discariche più grandi d’Europa. inoltre, nelle zone sature di rifiuti è stato predisposto un parco fotovoltaico che produce energia pulita. 

 

LA GEOGRAFIA DEGLI IMPIANTI 

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Stando alle ultime stime dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), in Italia sono attivi ancora una quarantina di impianti tra inceneritori e termovalorizzatori che bruciano rifiuti e che sono distribuiti in modo non uniforme nel territorio. Il 63% di questi è collocato nelle regioni settentrionali.

Sebbene ci siano casi positivi come il termovalorizzatore di Acerra, a Napoli, che nonostante bruci una quantità di rifiuti capace di garantire energia per 200 mila famiglie, sembra avere un impatto trascurabile sulla qualità dell’aria. Il termovalorizzatore di Gerbido (TO), che produce emissioni di almeno due ordini di grandezza inferiori ai limiti imposti dall’autorizzazione dell’impianto, la questione sull’efficacia o meno di tali sistemi di smaltimento dei rifiuti è ancora dibattuta. In Toscana, infatti, è da anni in corso un’attiva polemica riguardo la pericolosità delle emissioni (diossine, furani, pm10, pm2,5, ceneri, polveri) prodotte dal termovalorizzatore di Poggibonsi (SI); preoccupazioni che hanno condotto allo stop della realizzazione di un nuovo termovalorizzatore a Case Passerini (FI).

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LA TRATTA DEI RIFIUTI​

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La carenza e la diversa distribuzione degli impianti di riciclaggio e di smaltimento fa si che circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti siano trattate o smaltite in regioni diverse da quelle di produzione. Il flusso viaggia principalmente dal Centro-Sud verso il Nord. Il Nord ha importato il 12% dei rifiuti urbani, pari a 1.680.000 di tonnellate (più 3%) e ha conferito in discarica il 10%; il Centro ha esportato il 16% dei rifiuti; il Sud ne ha invece esportato il 7%. Così la Puglia trasferisce la frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU) negli impianti del Nord Italia, mentre in Lazio lo smaltimento è affidato a stabilimenti fuori dai confini regionali (soprattutto Lombardia ed Emilia-Romagna) dato che gli impianti riescono a smaltire poco più della metà dei rifiuti. Il ‘traffico dei rifiuti’ sul territorio italiano ha delle conseguenze anche sulle tasche dei cittadini. Secondo il rapporto di Cittadinanzattiva la tassa sui rifiuti (Tari) è più cara al Sud (351 euro in media a famiglia), cifra che supera nettamente il costo del servizio registrato al Centro (299 euro) e al Nord (258 euro).

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IL BUSINESS DELLA PLASTICA  

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Il traffico (spesso illecito) dei rifiuti riguarda anche la plastica. Secondo l’ultimo report di Greenpeace “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica”, l’Italia è all’undicesimo posto tra i principali esportatori di rifiuti plastici al mondo: solo nel 2018, ne sono stati spediti all’estero 197mila tonnellate, l’equivalente del peso di 445 Boeing 747 a pieno carico. 

Un meccanismo che, fino al 2018, vedeva come partner privilegiato la Cina, dove finiva circa il 42% dei nostri rifiuti plastici. Con il bando all’importazione di rifiuti in plastica introdotto dalla Cina nel 2018, la Cina ha ridotto dell’83,5% il volume di rifiuti italiani importati, accogliendo di fatto solo 2,8% dei nostri scarti plastici. Tuttavia, le aziende avvezze ad esportare continuano a farlo, hanno solo cambiato indirizzi. Ora le mete sono Malesia, Vietnam, Turchia. Secondo il Reg (CE) N.1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, i rifiuti che escono dall’UE possono essere esportati solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute umana. Tuttavia, ci sono dubbi sul fatto che questo accada sempre nella maniera più corretta. Quando gli scarti erano esportati in Cina, per esempio, false certificazioni raccontavano del corretto trattamento dei rifiuti, nonché dei pieni requisiti dei destinatari su territorio cinese. Con una produzione di plastica che raddoppierà le quantità del 2015 entro il 2025 per quadruplicarle entro il 2050, sono necessari interventi urgenti e su scala globale, soprattutto per l’usa e getta, che oggi costituisce il 40% della produzione globale di plastica. 

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LA MALAVITA E IL RACKET DEI RIFIUTI 

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La gestione dei rifiuti è un business che non è sfuggito al racket della malavita. In Campania, nella Terra dei fuochi, dove i rifiuti vengono interrati dalla Camorra fin dagli anni ’80,  c’è un’incidenza di tumori tre volte maggiore rispetto al resto della penisola. Sebbene la Campania abbia ricevuto oltre un miliardo di euro per ripulire le zone inquinate, i soldi non sono stati spesi in modo adeguato, come mostra il procedimento avviato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel marzo 2019 contro lo Stato italiano. Anche in Lombardia ci sono giri loschi riguardanti il business dei rifiuti. Un’inchiesta avviata nel 2014 ha scoperto un traffico illegale dei rifiuti provenienti dalla Campania: i rifiuti urbani solidi - che secondo la legge dovrebbero essere smaltiti nei confini regionali – venivano bruciati negli inceneritori lombardi, grazie a un cambio d’etichetta di provenienza dei rifiuti. E nel 2018, le forze dell’ordine hanno scoperto lo stoccaggio di rifiuti provenienti dal Sud Italia in capannoni industriali lombardi, a cui successivamente veniva dato fuoco. 

In Puglia, con le operazioni ‘Black Land” e Black Summer”, le forze dell’ordine hanno scoperto traffici illeciti di rifiuti speciali gestiti dalla malavita che finivano con il creare nuove discariche abusive. 

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